“Il mio punto di vista… concepisce lo sviluppo della formazione economica della società come un processo di storia naturale..” Marx, introd. al Capitale, pag.34

Nel n. 9 della rivista Teoria e Prassi viene preso in esame il fondamentale concetto di crisi di sovrapproduzione e dimostrato magistralmente come Marx abbia usato il concetto di “Crisi assoluta” come condizione al limite, per sviluppare il concetto di crisi per sovrapproduzione, che, alla conclusione del processo analitico, viene dimostrato essere sempre “relativo”. Tale questione, solo apparentemente marginale, ha una grandissima rilevanza nella lotta contro posizioni politiche devianti, che non a caso hanno dato luogo, ad es.nella prassi politica dei CARC, a strategie politiche aberranti.
Si legge, a pag. 26,: “Sotto questo punto di vista, Marx adotta una metodologia che è tipica delle scienze naturali, come per es. quella relativa al concetto di gas ideale in fisica, di limite tendente a zero oppure all’infinito in matematica, delle dimostrazioni per assurdo in geometria,ecc.
Un metodo che Marx, fondatore con Engels del socialismo scientifico, adotta spesso e che spesso è sfuggito agli occhi di taluni marxisti, benché egli stesso lo abbia sottolineato più volte, come ad es. proprio nella prefazione al capitale……Chiaramente, se Marx avesse avuto a disposizione i successivi metodi di calcolo di funzioni o di calcolo matriciale, il problema non si sarebbe nemmeno posto” (grassetto nostro).

L’autore del saggio coglie molto acutamente il nocciolo del metodo marxiano di analisi del ciclo del capitale e più in generale dei fenomeni economici.
Eppure ad un esame “specifico”, focalizzato sul metodo dell’indagine scientifica sulla nascita e lo sviluppo del capitale, l’avverbio “spesso” che abbiamo sottolineato appare alquanto riduttivo. Noi riteniamo che sarebbe stato più adatto, se ci riferiamo agli studi marxiani di analisi economica, il termine “sempre”.
Infatti l’intero Capitale appare concepito nel più rigoroso rispetto dei canoni scientifici ben noti nell’ 800 sulla scia del metodo Galileiano-Newtoniano, vera rivoluzione assoluta del pensiero moderno.
Tentiamo di riassumere sinteticamente i criteri che definiscono il metodo scientifico e lo distinguono nettamente dal tradizionale metodo empirico di derivazione aristotelica, universalmente adottato prima di Galilei (peraltro non senza alcuni successi nella descrizione dei fenomeni naturali) Un esempio sarà utile per chiarire la profonda antitesi tra i due metodi: ad un osservatore superficiale, la legge fondamentale della dinamica apparirà essere ciò che appare ad una prima osservazione, ad esempio relativa al fatto che per permettere ad un carro di muoversi a velocità costante occorre trainarlo con sforzo costante. Fino a Galilei, la meccanica si fondava su questa che appariva essere un indubbio portato dell’esperienza.
Galilei si pone per primo il problema: quali sono i fenomeni in gioco? Non sono per caso almeno due, da descrivere attraverso la legge del moto e quella dell’attrito? Prova a scindere i due fenomeni, e, osservando come facendo rotolare sfere sempre più lisce su piani anch’essi sempre più lisci, estende “al limite” la sua osservazione: in condizioni IDEALI e cioè in assenza di attrito, il corpo si muove di moto uniforme IN ASSENZA DI FORZE APPLICATE, e non in presenza di forze costanti. L’attrito viene studiato a parte, isolando ed astraendo anch’esso dagli altri fenomeni in atto, ed alla fine, applicando successivamente le leggi in gioco, si perviene ad una descrizione sempre più prossima allo svolgimento reale del fenomeno.
Con Newton il metodo, che oggi viene comunemente definito “idealizzazionale”, assume una forma assai ben definita. Vengono attivati in seno alla ricerca teorica modelli inizialmente assai semplificati, e quindi idealizzati, mettendo a fuoco i rapporti essenziali tra gli oggetti in questione.
Nell’analisi di un fenomeno non basta descriverne tutti i dettagli; occorre invece coglierne gli elementi essenziali depurandoli da quegli aspetti collaterali che perturbano il fenomeno “base” e che saranno esaminati successivamente per cogliere infine il meccanismo del comportamento reale(concretizzazione).
Nello studio della meccanica, Newton riduce il concerto di corpo a quello di un punto che ne concentri la massa, riduce le forze a pure entità matematiche e sulla base degli assiomi e delle definizioni introdotte deduce in via del tutto astratta i teoremi relativi alla realtà concreta. (“Principia…”, libro I°).
Solo nel III° libro introduce una serie di elementi perturbativi di quelli analizzati nel I°, e la loro presa in considerazione fornisce una descrizione della realtà fisica assai più prossima alla realtà, pur nella consapevolezza della incompletezza della descrizione. Ad es. gli è perfettamente chiaro che le leggi di Keplero descrivono il moto dei pianeti solo in prima approssimazione, dato che per avere una descrizione rigorosa del loro moto occorrerebbe considerare le loro attrazioni reciproche, continuamente variabili in funzione delle distanze.

Nei tre libri del Capitale Marx elabora la teoria del valore, fondamento dei fenomeni economici, in strettissima e sorprendente analogia con i tre libri dei “Principia…” newtoniani.
Anche se in forma apparentemente meno assiomatizzata e con un uso ridotto della matematica formale, egli parte da assiomi, definizioni, concetti altamente idealizzati, per arrivare ad un primo modello semplice dell’ oggetto della sua indagine, la società capitalistica. Prende le mosse da un concetto del tutto astratto, il “valore” insito in una merce, ben consapevole che esso “si presenta” in una forma ben più complessa, quella di denaro, che solo più avanti verrà introdotto nel corso della concretizzazione delle leggi via via formulate.
L’assioma fondamentale di Marx è quello che “le merci si scambiano secondo il tempo di lavoro necessario in esse coagulato”. Egli è ben consapevole che tale affermazione costituisce solo un modello ideale, valido in alcuni casi ed in prima approssimazione, tant’è che via via il primitivo modello viene complicato ed arricchito da una serie di leggi che ne completano ed ampliano il campo di validità.
La incapacità di comprendere il metodo marxiano, cioè in realtà il metodo scientifico, è alla base del fiume di critiche che via via si sono succedute nei confronti dell’analisi economica marxiana. Infatti gli è stato infinite volte rimproverato di utilizzare nelle sua analisi un concetto, quello di “valore sociale medio” non visibile né misurabile. Ignorando quindi che nelle scienze naturali, se si compie il salto di qualità dell’abbandono del metodo empiristico, vengono adoperate tutta una serie di indispensabili strutture teoriche non osservabili direttamente quali i campi di forza o l’entropia, e che è proprio l’ introduzione di queste strutture che permette l’analisi “concreta” del fatto reale.
Il modello semplice ed idealizzato della società capitalistica marxiana viene via via concretizzato con l’adozione di parametri sempre più complessi, pervenendo nel III° libro alla enunciazione di quello che può essere definito il contributo fondamentale di Marx alla comprensione della società capitalistica moderna: la teoria della crisi e della caduta tendenziale del saggio di profitto.
Come vedremo meglio nelle note che seguono, Marx è perfettamente consapevole di seguire nella sua analisi le orme dei fisici della sua epoca che si occupavano di termodinamica, la scienza che studia le interrelazioni tra lavoro e calore (se vogliamo esemplificare, il funzionamento delle macchine, di cui l’industria moderna è un caso particolare, sia se ci riferiamo al singolo impianto che al complesso industriale mondiale), scienza che nella prima metà dell’ 800 aveva raggiunto un notevole grado di maturità che le permetteva di assumere un considerevole livello di formulazione logico-matematica.
Nella immane impresa di riepilogo ed ordinamento delle note e dei manoscritti lasciati incompleti da Marx alla sua morte, in particolare per redigere in via definitiva II° e III° libro del Capitale, Engels non manca di sottolineare i continui riferimenti di Marx alle scienza naturali, ed in particolare proprio alla termodinamica.
Ci siamo chiesti perché la stretta analogia tra analisi economica marxiana e scienza termodinamica sia rimasta così poco conosciuta e studiata. Eppure la risposta è abbastanza evidente, e risiede nella separazione rigida, imposta dalla visione idealistica della cultura, tra “scienze umane” e “scienze naturali” (ma la matematica dove la incaselliamo?). Per cui gli studiosi di fisica in questi centocinquant’anni si sono ben guardati dall’occuparsi di economia, e gli economisti e meno che mai i filosofi si sono ben guardati dallo sfogliare un testo di fisica.
Tutto ciò ha portato alla assoluta incomprensione da parte degli studiosi (di ogni ramo) del profondo legame, se non addirittura identità, tra lo sviluppo economico che il capitalismo ha imposto al pianeta e la sua evoluzione termodinamica.
Valutiamo in un numero ridottissimo (alcune decine!) gli studiosi che si sono occupati a fondo, nel corso dell’ultimo secolo, di tale questione, sollevata ad es., anche se con molte ambiguità, dal Georgescu-Roegen nel 1971 nell’opera “La legge dell’entropia e il processo economico”.Tra essi riveste un ruolo fondamentale  Salvatore Notarrigo, le cui opere (v. ad es.ENERGIA E AMBIENTE, Una rifondazione della teoria economica, CUEMC CATANIA, 1987) sono alla base della presente nota.
Seguendo il percorso del discorso marxiano nella sua analisi del ciclo del capitale con l’ ottica delle scienze naturali, si scopre perché sia Marx che Engels insistono nell’ attribuzione dell’ aggettivo “scientifico” alla loro visione del socialismo, come superamento e rovesciamento dei precedenti “socialismi utopistici”, fondati sul pur lodevole sdegno etico che lo sfruttamento di masse immense di lavoratori induceva nei socialisti pre-marxisti. Solo con l’adozione del metodo delle scienze moderne, ci dicono Marx ed Engels, si può passare dall’indeterminatezza e dalla genericità della denunzia del sistema capitalistico alla sua analisi strutturale, alla comprensione dei suoi meccanismi profondi ed in definitiva al suo superamento.
Rimettendo all’impiedi il metodo marxiano stravolto da interpretazioni idealistiche, superficiali ed approssimative, si hanno tutti gli strumenti per respingere gli interessati tentativi di evidenziare presunte autocontraddittorietà nella teoria marxiana ( Steedman per tutti, che approfitta di una presunta contraddizione tra la teoria di Marx e lo sviluppo matematico seguito da Sraffa, contraddizione che è stata poi dimostrata inesistente).
Già nella prefazione alla I° ediz. del Libro I° del Capitale, Marx scriveva: “Il fisico osserva i processi naturali nel luogo in cui essi si presentano nella forma meno offuscata da influssi perturbatori…In quest’opera debbo indagare il modo capitalisticodi produzione ed i rapporti di produzione e di scambio che gli corrispondono. Fino a questo momento, loro sede classica è l’Inghilterra… […] Il mio punto di vista, che concepisce lo sviluppo della formazione economica della società come processo di storia naturale (corsivo nel testo), può meno che mai rendere il singolo responsabile di rapporti dei quali esso rimane socialmente creatura…”
Dell’ ”immane raccolta di merci” che sono oggetto del suo studio, Marx astrae inizialmente unicamente il concetto di “valore di scambio”. Dell’esistenza di tale grandezza Marx fa uno dei postulati fondamentali della sua opera, più volte contestatogli dai suoi critici, come visto sopra. Un secolo dopo è stato possibile dimostrarne matematicamente l’esistenza a partire dai coefficienti fisici e tecnici della produzione delle merci (Sraffa, 1961).
Ma nel corso dell’opera, l’essenza fisica, materiale, delle merci, emergerà ad ogni passo. Né sarebbe possibile altrimenti, visto che il processo di formazione del valore delle merci e del loro scambio è intimamente connesso alla loro materialità ed alle leggi che la regolano:
“In quanto il processo lavorativo è soltanto un processo tra l’uomo e la natura, i suoi elementi semplici rimangono identici in tutte le forme di dell’evoluzione sociale. Quando è raggiunto un certo grado di maturità, la forma storica determinata viene lasciata cadere e cede il posto ad un’altra più elevata”(Cap., III,3, p.301 )
La totale consapevolezza di Marx della interrelazione totale tra processo economico e processo fisico di produzione del valore emerge (sottolineata da una nota di Engels) nel modo più esplicito nella trattazione del ciclo del capitale M-D-M e D-M-D. (Libro II° , cap I°, par. I° e II°). Tale ciclo, in analogia rigorosa con il ciclo termodinamico ideale (ciclo di Carnot, v. nota) utilizza il concetto di capitale latente nella identica posizione del calore latente di cui parlano i fisici, per pervenire poi allo stesso identico risultato: ad ogni ciclo, sia esso termodinamico che economico, alla conclusione del ciclo si ottiene una quantità di energia disponibile ad essere trasformata in lavoro meccanico (∆L = Q2 – Q1), oppure sotto forma di plusvalore disponibile per il reimpiego da parte del capitalista. Engels nella sua nota illustra persino come Marx abbia seguito le variazioni nell’uso del termine “latente” che in quegli anni venivano adottate dai termodinamici.(II°, p.83)
Come la macchina di Carnot è una macchina “ideale” ma indispensabile per comprendere il funzionamento delle macchine reali, la macchia economica marxiana è anch’essa una macchina ideale ma indispensabile per la comprensione dei cicli economici reali.
In entrambi i casi si dimostra facilmente con gli strumenti che la matematica ci mette a disposizione che esiste una proprietà dei sistemi indipendente dai particolari processi che vi si svolgono, ma dipendente solo dal loro stato interno, che viene chiamata in fisica “Entropia negativa” e in economia “Valore”.
Così come in Fisica si dimostra che in nessun sistema isolato l’entropia può diminuire (o, che è lo stesso, il suo opposto la negaentropia, può solo diminuire), Marx dimostra nel III° libro del Capitale che in un sistema economico isolato il saggio tendenziale del profitto può solo diminuire.
Per produrre merci bisogna trasformare energia e quindi consumare negaentropia. Secondo la dimostrazione di Von Neumann la variazione di negaentropia economica è la somma complessiva di tutti i valori di scambio prodotti. Dal punto di vista fisico, la diminuzione di negaentropia dovuta allo sforzo produttivo può essere solo ripristinata dallo scambio organico naturale determinato dagli scambi termici tra il sole e la terra, che la terra utilizza ripristinando negaentropia, quasi esclusivamente in definitiva mediante la funzione clorofilliana dei vegetali.
In altre parole, la crescita dell’ entropia, (o diminuzione della negaentropia) cioè del degrado ambientale, sul piano economico assume esattamente le vesti di caduta tendenziale del saggio di profitto, cioè della legge fondamentale della produzione capitalistica.
Marx ed Engel illustrano con esempi continui questa interrelazione.
Engels tratta nel modo più esplicito una sequenza di crimini economico-ambientali in “Dialettica della Natura” (Il lavoro come processo…); nel Capitale Marx pone continuamente in evidenza gli aspetti devastanti dello sviluppo della economia capitalistica, precisa conseguenza delle basi materiali del processo di accumulazione.

Alcuni esempi:
“…la grande proprietà fondiaria riduce la popolazione agricola ad un minimo continuamente decrescente e le contrappone una popolazione industriale continuamente crescente e concentrata nelle grandi città; essa genera così le condizioni che provocano una incolmabile frattura nel nesso del ricambio organico sociale prescritto dalle leggi naturali della vita in seguito alla quale la forza della terra viene sperperata e questo sperpero viene esportato mediante il commercio molto al di là dei confini del proprio paese… La grande industria e la grande agricoltura gestite industrialmente operano in comune. Se esse originariamente si dividono per il fatto che la prima dilapida e rovina prevalentemente la forza-lavoro, e quindi la forza naturale dell’uomo, e la seconda più direttamente la forza naturale della terra, più tardi invece esse si danno la mano, in quanto il sistema industriale nelle campagne succhia l’energia anche degli operai e l’industria ed il commercio,dal canto loro, procurano all’agricoltura i mezzi per depauperare la terra” ( III°. , 3, p. 224).
La celebre affermazione di Marx “il vero limite della produzione capitalistica è il capitale stesso” viene chiarita più avanti (III°, p.317) in modo del tutto esauriente: “ Ne consegue che la massa del profitto medio (ossia del plusvalore) deve essere di molto inferiore a quella che sarebbe logico prevedere in base allo sviluppo della forza produttiva nei rami industriali più progrediti. Il fatto che lo sviluppo…si manifesta in direzione contraria…si ricollega anche con le condizioni naturali, che diminuiscono sovente il loro rendimento nella stessa misura in cui la produttività – in quanto dipende da condizioni sociali – aumenta. Come conseguenza si hanno movimenti in senso contrario in queste diverse sfere produttive…Basta considerare ad es. la semplice influenza delle stagioni, dalla quale dipende la quantità della maggior parte delle materie prime, l’esaurimento dei boschi, di miniere di carbone e di ferro,ecc.)”
E dobbiamo ricordare che nel XIX° secolo era ancora impensabile che l’andamento climatico potesse essere influenzato profondamente proprio dal processo produttivo, che non aveva ancora raggiunto l’ampiezza planetaria di oggi!
Ancora più avanti, nella trattazione della rendita fondiaria, cap.46, Marx aggiunge: “…la proprietà privata del globo terrestre da parte di singoli individui apparirà così assurda come la proprietà privata di un uomo da parte di un altro uomo. Anche un’intera società, una nazione, ed anche tutte le società di una stessa epoca prese complessivamente, non sono proprietarie della terra. Sono soltanto i suoi possessori, i suoi usufruttuari, ed hanno il dovere di tramandarla migliorata, come boni patres familias, alle generazioni successive.”

Dove ci conduce allora, OGGI, il carattere SCIENTIFICO della trattazione marxiana? In primo luogo al riconoscimento della teoria economica marxiana come una scienza dalle basi ben solide e, ad oggi non scalfite minimamente da presunte mutazioni genetiche dell’oggetto della sua analisi, il sistema capitalistico. Essa è stata passata al vaglio con ogni possibile strumento avanzato di carattere epistemologico, formalizzata sul piano della matematica del XX° secolo, ed ha resistito ad ogni prova. Le interessate critiche degli innumerevoli e interessati detrattori si sono rivelate del tutto inconsistenti.
Ma in secondo luogo la sua riconfermata validità ci conduce a vedere molto al di là della stretta cerchia dei rapporti “diretti” tra capitalisti e sfruttati. Ci porta a riconsiderare il problema della sopravvivenza stessa del pianeta come problema della necessità di distruggere il mostro che con la selvaggia produzione di merci attacca ogni giorno la stessa sopravvivenza della vita biologica sul pianeta, e della specie umana in particolare.
Mettere un freno alla produzione indiscriminata di merci, che abbiamo visto essere la stessa cosa dell’abolizione del sistema capitalistico, che non può sopravvivere senza espandersi,è diventato l’obbiettivo primario, anche se spesso non esplicito, della stragrande maggioranza degli abitanti del pianeta. Occorre che questo aspetto sia continuamente chiarito e sviluppato, e questo deve essere il compito dei comunisti del XXI° secolo.

NOTA Nel 1850 fu formulato da Clausius, sulla base del concetto di entropia, il primo principio della termodinamica o della conservazione della energia. Esso afferma che se un sistema fisico scambia una quantità ∆E di energia col resto dell’universo, il sistema subisce una variazione ∆U di una sua proprietà U, dipendente unicamente dallo stato interno del sistema, tale che sia ∆E = ∆U (U assume comunemente il nome di “energia interna”). Marx utilizza questa legge nello stabilire la legge del valore-lavoro, facendo corrispondere a ∆E gli scambi di merce e di forza lavoro con il mondo esterno e a ∆U le variazioni del “capitale monetario latente”. Nella prefaz. al II° libro del Cap. Engels tratta approfonditamente dell’analogia con il problema del Flogisto(p. 21 -24).
Il secondo principio della termod. asserisce che il calore fluisce spontaneamente solo da sorgenti a temperature più alta ad altre a temperatura più bassa (formulaz. di Clausius). In economia è il denaro (analogia col calore) che si orienta, in assenza di costrizioni, verso quei mercati dove il prezzo delle merci (analogia con la temperatura) è più basso.
In termodinamica dai postulati precedenti si deduce il comportamento del ciclo ideale di Carnet, ciclo costituito da due trasformazioni isoterme (a temperature costanti, dovute a due sorgenti distinte di calore) e a due trasformazioni adiabatiche, isolate, cioè senza scambio di calore con l’esterno: questo ciclo, del tutto irrealizzabile, ci permette però, con le opportune correzioni, di studiare cicli di uso corrente come quello Benz o quello Diesel.
In esso si preleva la quantità di calore Q1 dalla sorgente a temp.>, T1, se ne cede la frazione Q2 < Q1 a quella a temp.<, T2, ottenendo il lavoro meccanico ∆L = Q1 – Q2.
Nel ciclo del capitale il capitalista prima entra in contatto col mercato delle merci, e realizza in forma di denaro il capitale Q1 che ha prodotto come merce al prezzo T1 del valore in esso incorporato; poi entra in contatto col mercato della forza-lavoro nel quale acquista la forza–lavoro per il ciclo successivo ad un prezzo T2 inferiore a quello del valore che può produrre, pagandolo quindi ad un costo complessivo Q2 < Q1.
Le adiabatiche sono le due trasformazioni isolate dal mercato (la fabbrica da un lato e la vita privata dell’ operaio in cui egli consuma il salario per il proprio sostentamento dall’altro). A conclusione di ogni ciclo si ottiene il plusvalore ∆L = Q1-Q2, con una quota del quale far ripartire un nuovo ciclo.
Si dimostra così definitivamente il teorema di Marx che afferma l’impossibilità per il capitalista di realizzare un saggio di profitto >0 in assenza di sfruttamento del lavoro.

(V. ancora Angelo Pagano, Elementi di Economia, in MONDOTRE-LA SCUOLA ITALICA, dic 1999)

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