Nietzsche : civiltà o barbarie

Tentiamo di definire in modo univoco (o poco equivoco) i termini usati.

Civiltà: lo useremo per indicare una struttura sociale, una civis, in cui il ricorso alle violenza sia il più possibile bandito, e limitato alla legittima difesa. Civis nella quale il progressivo avanzamento delle condizioni di vita materiali ed intellettuali sia diretto dalla sfera della razionalità cognitiva dei suoi componenti. Parliamo dello sviluppo dallo stato ferino dell’ ominide primordiale a quello di homo sapiens che, grazie anche allo sviluppo filogenetico dell’apparato cerebrale  assieme allo sviluppo dei sempre più complessi apparati culturali, permettono di affermare appunto il primato della razionalità cognitiva sulla istintività animalesca.

Barbarie è esattamente l’opposto di civiltà, una struttura asociale o solo formalmente sociale che basa la sua essenza sulla volontà di dominio di un individuo o di un gruppo di potere che persegue i suoi obbiettivi con ogni possibile strumento coercitivo. Nessun appello alla razionalità cognitiva è ammesso, il disprezzo per la logica conseguenzialità degli eventi  è parte essenziale  dell’apparato ideologico di supporto, lo schiacciamento fisico dell’avversario è la norma quotidiana. Il richiamo continuo allo stato primordiale, alla violenza come levatrice di radiosi futuri, ne è il motivo ricorrente.

Sulla base di tale definizioni, andiamo avanti nell’analisi della personalità e dell’opera di un personaggio che ha avuto una enorme rilevanza nella storia dei due secoli appena trascorsi.

La lettura della prolifica opera di Nietzsche  fa sorgere di primo acchito una domanda: Perchè un individuo capace di scrivere fiumi di parole asserendo tutto ed anche il suo opposto, le cui opere più note  furono scritte in condizioni di grave psicosi, in cui non può essere individuato alcun filo logico, che sono state definite il prodotto di una serie di deliri ossessivi, perché  tale individuo può avere avuto un posto di assoluto rilievo nella storia del pensiero del XIX secolo e sopratutto della storia del XX?

Riteniamo che Nietzsche sia nato al posto giusto nel momento giusto, ha prodotto, non sappiamo quanto coscientemente, esattamente quello di cui una parte della società del suo secolo, e del successivo, aveva assolutamente bisogno.

Non possiamo infatti ignorare che due soggetti  hanno improntato la storia dei due secoli appena  trascorsi.

Da una parte, nel solco di una storia millenaria di sviluppo del pensiero scientifico-materialistico, il rovesciamento  marxiano dell’idealismo hegeliano fonda le basi teoretiche del rovesciamento della società esistente, mediante il quale un assetto sociale durato almeno quattro secoli, la società diretta dal capitale monetario, inizia a dare segnali di profonda crisi.

Dall’altra parte, le classi sociali profondamente colpite dalla minaccia incombente non potevano che dispiegare tutte l’ armamento a loro disposizione per contrastare con ogni mezzo la catastrofe imminente.

Sul piano ideologico, nulla di meglio che la teorizzazione della ineluttabilità della più brutale divisione in classi poteva essere  assunta come fondamento del mantenimento della vecchia struttura sociale minacciata dal fantasma che si aggirava per l’Europa.

Solo in questa chiave si può comprendere come tra i mille visionari che ogni giorno nel mondo, ieri come oggi,  sproloquiano su tutto ciò che li circonda e che sono destinati a rimanere ai margini di quella società che disprezzano ma che non saranno mai in grado di scalfire, Nietzsche sia riuscito a conquistarsi un a posizione fondamentale, prima tra i filosofi professionisti della sua epoca (non dimentichiamo che fu chiamato in cattedra a 25 anni, ancora prima della laurea, e che, dimessosi giovanissimo  dall’ incarico, continuò a percepire per anni e anni, fino al 1897, il suo assegno), poi tra i filosofi più citati e studiati del XX secolo, e non è certo finita.

Nietzsche poté permettersi una vita da eterno villeggiante di lusso senza avere  alcuna rendita di famiglia ma “solo” l’appoggio di forze sociali che avevano ben individuato nelle  sue farneticanti opere il fondamento di una società che potesse perpetuare il dominio di potere dei secoli precedenti.

Tutta la cosiddetta cultura di destra trovò e trova in Nietzsche un pilastro per dare un substrato culturale a quello che è in realtà solo ed esclusivamente il ritorno dell’uomo moderno allo stato ferino, allo stato della appropriazione pura e semplice dell’esistente con ogni mezzo a disposizione, in primo luogo con l’eliminazione fisica dell’avversario.

All’inizio del XX secolo, mentre da una parte con Lenin  prima e dopo con Stalin si delimita il campo rivoluzionario egemonizzato dal marxismo, dall’altra le opere di Nietzsche vengono poste a fondamento di tutte le correnti reazionarie, nel senso letterale di reazione delle classi che rischiavano il secolare potere familiare e di classe consolidatosi con la formazione di sempre più ingenti capitali sia mobiliari che immobiliari.

Uno studioso, un intellettuale, un filosofo, altro non può essere se non un soggetto che, mosso da interesse profondo verso il mondo che lo circonda, da profonda curiosità, si guarda attorno, registra le informazioni che gli pervengono, le elabora, ne fa materia di personale spinta verso una  ulteriore elaborazione che ritiene più adeguata alla visione del mondo, sia all’ interno del paradigma di fondo da cui muove che come critica ai paradigmi che non accetta.

La lettura del fiume di pagine di F. Nietzsche dà il senso di un modo diametralmente opposto di approcciare il rapporto col mondo circostante: invece di elaborare le informazioni che gli pervengono da infinite letture di testi, che si intuisce tra l’altro ben selezionati in base ad aprioristiche scelte, da contatti umani altrettanto ben selezionati, tali informazioni vengono semplicemente  riversate sul lettore, talvolta semplicemente copiandole come nel caso del noto brano di Kerner.

Non un solo elemento di connessione tre gli infiniti temi che N. ci spiattella, se non un illimitato disprezzo per l’umanità che lo circonda, la plebe, fastidiosa presenza nella sua vita, la realtà che lo costringerebbe a cimentarsi con il mondo circostante, a comprendere le motivazioni, i perché, del mondo.

Disprezzo che sfocia nella teorizzazione della estrema malvagità nei confronti del nemico o semplicemente del diverso.

So sprach Zarathustra faceva parte del bagaglio  obbligatorio degli ufficiali tedeschi nella prima e sopratutto nella 2° guerra mondiale nella quale ogni ufficiale ne farà il suo vangelo personale (Galavotti).

Nella Nascita della tragedia egli aveva sostenuto che ogni civiltà “ha bisogno, per poter esistere durevolmente, di una classe di schiavi”-;  nella Gaia scienza leggiamo: “Laddove si esercita un dominio, esistono masse: laddove esistono masse: ivi c’è un bisogno di schiavitù”.

La crudeltà è, secondo Nietzsche, “uno dei più antichi e ineluttabili fondamenti della civiltà”, dunque grottesco appare il “risentimento” degli schiavi nei confronti dei padroni, così come la compassione appare come l’inizio dell’abdicazione delle classi superiori.

Si potrebbe dubitare della rilevanza di affermazioni del genere nel quadro delle estrema contraddittorietà delle affermazioni e delle scelte di vita di Nietzsche, come il disprezzo per l’ ideologia prussiana che lo portò nel ’69 ad abbandonare la cittadinanza prussiana e ad assumere la qualifica giuridica di apolide, cosa che non gli impedì nel ’70 di arruolarsi  volontario per la vittoria della patria tedesca  nel corso della guerra franco-prussiana. Invece di questo tipo di sottofondo culturale non si intravvede traccia di resipiscenza, si tratta delle poche linee di pensiero costantemente presenti nell’opera nietzsichiana.

Nello stesso quadro si inserisce perfettamente il discorso della “morte di dio” e del “Superuomo”.

Di fronte alla definitivo e pacifico abbandono del teismo nell’ambito della cultura ottocentesca, Nietzsche, formatosi all’interno di un ambiente culturale totalmente impregnato di bigottismo religioso,  figlio e nipote di pastori protestanti, si sconvolge fino al recupero di una sorta di abnorme teismo con al centro la figura di un uomo che, attraverso  ogni sorta di eroica nefandezza, si erge egli stesso a Dio, superando, attraverso la “estrema malvagità” di cui in “Zarathustra”, ogni remora imposta dal vecchiume culturale del passato recuperando la scoperta della classe degli schiavi come pilastro essenziale di ogni assetto sociale.

«L’uomo deve diventare migliore e anche più malvagio»: — questo io insegno. Un maggior grado di malvagità, e necessario perchè prosperi il superuomo.

Forse quel predicatore della gente piccola amò soffrire e soccombere per le colpe dell’uomo. Io ho gioja invece della grande colpa come se essa fosse il mio più grande conforto. —

Ma queste parole non sono dedicate alle orecchie lunghe. Giacchè non ogni parola conviene a ogni bocca. Sono cose remote e delicate: e le unghie delle pecore non devono tentar d’afferrarle!

E’ utile, per comprendere quale fosse il substrato culturale della destra europea a fine  secolo, riportare alcuni brani di A.Oriani, ideologo pre-fascista citato e recensito più volte da Mussolini:

“L’ARISTOCRAZIA: quale apparve e si manterrà nella storia essa è una superiorità dello spirito organizzata dalla volontà nel comando. In ogni tempo e in ogni gruppo umano l’eccellenza di alcuni individui li alzò dominatori sugli altri, che ubbidendo barattavano istintivamente la libertà in una nuova sicurezza…. L’istinto della razza e la necessità della storia creavano così nell’ aristocrazia una classe responsabile della vita d tutti e depositaria della sua tradizione….consentiva tutte le contraddizioni risolvendole nel trionfo di una forza vitale e micidiale che nobilitava  l’individuo come il rappresentante epico o tragico di una società incapace di avere fuori di lui una coscienza.”……….

Naturalmente l’altro pilastro ideologico di Mussolini era proprio F. Nietzsche, di cui  ad es. cita entusiasta, (il Pensiero Romagnolo, 1908,XV):

. Nietzsche nella sua Zur Genealogie der Moral (pag 71 e seg.) ci descrive la genesi dello Stato.

“E’ un branco di biondi animali da preda – è una razza di signori e di conquistatori che si getta sulle popolazioni limitrofe, disorganizzate, deboli, nomadi. È una violenza compiuta da uomini che – nella e per la loro organizzazione guerresca – non hanno il concetto di riguardo al prossimo, di responsabilità, di colpa. Il loro egoismo di forti non ammette limitazioni. Essi sentono la pienezza della loro vita e la tensione delle loro energie sol quando possano stritolare un altro essere umano. Lungi dal comprimerlo essi danno libero sfogo al loro primordiale istinto di crudeltà. La loro divisa è la parola d’ordine dell’orientale setta degli assassini. Nulla esiste, tutto è permesso. E aggiungono: veder soffrire fa bene, far soffrire fa meglio“.

Forse è ora più chiaro il concetto di Barbarie di cui sopra.

Non appare necessario una ulteriore disamina dei fiumi di pagine scritte su questo leitmotiv  dal nostro N. e da tutti suoi predecessori ed epigoni.

Quello che invece pone un problema da affrontare e risolvere è: come può una sequenza-fiume di affermazioni di cui abbiamo appena citate alcune, venire qualificata da autorevoli critici come una dottrina filosofica alla quale dedicare  un’attenzione che si concretizza in fiumi di pagine di  profonda esegesi, alla quale è stato dedicato uno spropositato spazio nei manuali, manuali che hanno una enorme importanza nella formazione  di base dei giovani studiosi di tutte le discipline?.

Pagine deliranti di uno psicotico grave  alle quali, a differenza di quanto avvenuto per le pagine di migliaia e migliaia di colleghi di malattia, è stata attribuita una dignità culturale ed addirittura una predominanza filosofica che dovrebbe fare riflettere.

Egli stesso, commentando i lunghi periodi di malattia che lo affliggevano, scrive che in realtà si trattava di mali fisici, reali, ma che avvertiva essere il  riflesso di un profondo “esaurimento nervoso” che non lo abbandonava. E nella ipotesi di diagnosi dei Proff. Cybulska e Schain successiva al crollo mentale definitivo del 1889, si parla espressamente di un aggravamento di uno stato di psicosi maniaco-depressiva che lo tormentava da sempre.

Un soggetto che a 23 anni si arruola volontario nell’esercito prussiano per poi ritirarsi dopo pochi mesi, l’anno successivo dichiara di rinunziare alla cittadinanza prussiana all’interno di profonde critiche alla ideologia dominante, in realtà per rendere più agevole l’assunzione da parte dell’ateneo svizzero, dichiarandosi apolide. L’anno ancora successivo si ri-arruola patriotticamente nell’esercito durante la guerra franco-prussiana (ma con la fondazione dell’ Impero di Bismark assume un atteggiamento critico e scettico).

Durante tutta la sua produzione saltella tra violente critiche alla cultura ebraica e violente critiche alla cultura antisemita già fortemente presente nella Germania dell’epoca.

L’atteggiamento giustificazionista nei confronti dell’opera di N. appare assolutamente colpevole da parte di quella classe di filosofi professionisti che hanno il dovere non già di apparire ad ogni costo liberi da incrostazioni pregiudiziali (anche se tale atteggiamento di presunta indipendenza culturale può servire ad aprire le porte della scalata accademica) ma di sviluppare l’ approfondimento critico dei fenomeni culturali con il massimo di indipendenza e di oggettività possibile.

In tal quadro ad un soggetto come Nietzsche sarebbe stato appena il caso di dedicare  nei manuali appena una paginetta e solo in quanto ideologo ufficiale delle forme più estreme di supporto “culturale” alla barbarie economica e politica.

E tutt’al più una pagina potrebbe essergli riservata nei manuali di critica letteraria, vista la grande prolificità di immagini visionarie, la lingua fluida e trascinante, il peculiare  e inconfondibile specifico letterario.

Quello che abbiamo visto essere il nocciolo profondo della barbarie nazifascista viene  coralmente definito nella gran parte dei manuali di filosofia come pagine malamente estrapolate e strumentalizzate da forze estranee alla “vera” filosofia nietzschiana.  Cosa questa che è un patente falso storico, come crediamo di avere ampiamente  dimostrato.

Il  nazifascismo ha solo trasformato in prassi quotidiana le aberranti teorie nietzschiane, ha utilizzato quale schermo “culturale” la “filosofia” nietzschiana per dare una dignità culturale alla pura e semplice necessità di mano d’opera a costo zero, ad uno schiavismo”a perdere”  enormemente più aberrante di ogni forma di schiavismo di cui l’umanità si era fino ad allora macchiata.

Nell’antichità classica, nell’America schiavista, lo schiavo era almeno considerato una merce, come tale aveva un valore ed andava conservato e possibilmente riprodotto.

Ciò aveva un costo, non a caso la parte più avanzata del capitalismo USA scoprì che conveniva passare allo schiavismo salariale in cui con il pagamento di un miserabile salario ogni problema di reperimento di manodopera  era definitivamente risolto.

Lo schiavismo dei campi di lavoro-sterminio nazifascisti aveva invece connotati ben più “avanzati”: gli schiavi venivano reperiti a milioni tra le popolazioni ostili, alimentati con scarti della produzione agricola, e, giunti alla inabilità, sterminati  con il Cyclon con quella estrema crudeltà che il Nostro aveva teorizzato.

Ancora un dubbio: Come detto in precedenza, non vi è traccia negli scritti Nietzschiani di uno sviluppo del pensiero, di una elaborazione, di un punto di partenza e di un suo sviluppo. Nulla che possa permettere di includere gli scritti di Nietzsche nella categoria  “filosofia”, mentre appare semmai ragionevole inscrivere la sua opera nella categoria “letteratura”, oggi si direbbe di “letteratura fantastica”. Quando il prof. Nietzsche chiese al senato accademico di potere scambiare la sua cattedra di Filologia tedesca con una di Filosofia, appena liberatasi, la sua domanda non fu nemmeno messa in discussione. Tutto ha un limte….

E’ di fondamentale importanza esaminare l’influsso che, non solo su Nietzsche ma su tutta la teoria che sottostava all’ideologia nazifascista, ebbero le opere di Darwin, di cui “L’origine della specie” fu pubblicata con grande scalpore nel 1859, quando Nietzsche aveva 14 anni. Esamineremo in una prossima nota tale questione.

 


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