Abbiamo visto in altri appunti presenti in questo sito (Dissesto ambientale e III libro del Capitale ):
- che l’unica chiave di lettura scientificamente e logicamente significante della scienza economica è quella marxiana;
- che Marx, ancor prima che un eccezionale filosofo, fu un eccezionale uomo di scienza che si muoveva su basi epistemologiche solidissime;
- che nelle “bronzee leggi della economia capitalistica” è inscritta, e nemmeno troppo implicitamente, la legge del degrado entropico della biosfera, diretta conseguenza del 2° principio della termodinamica, di cui la marxiana caduta tendenziale del saggio di profitto è la immediata trascrizione in termini economici.
- che si può individuare una correlazione strettissima tra creazione di plusvalore e leggi della termodinamica, con la conseguenza che ad ogni espansione del potenziale produttivo DEVE corrispondere una ben definita crescita del processo entropico, e cioè del degrado ambientale.
A me sembra che tale correlazione tra ciclo economico e ciclo termodinamico sia del tutto evidente visto che la produzione di valore è intrinsecamente connessa al ciclo industriale – o agrario – e quindi ad un processo retto da ben note (comunque ampiamente note) leggi fisiche, cosa di cui il buon Karl aveva dato più e più volte prova di essere del tutto consapevole.
Ne consegue a mio avviso la possibilità di dimostrare in via definitiva l’assoluta irrilevanza della posizione che oggi spopola nel “giro” ambientalista: quella secondo la quale sarebbe possibile, con una accorta gestione del processo produttivo, salvare capra e cavoli, sviluppo economico capitalista e vivibilità del pianeta.
Lo stesso Engels nel ben noto “Differenziazione…”, in Dialettica della natura, credo il primo esplicito manifesto del movimento ambientalista, non poteva certo rendersi conto del fatto che i dissesti ambientali locali che con dovizia di particolari illustra e analizza erano destinati ad assumere carattere planetario. Se nel 1880 fosse già stato chiaro che “La Terra è finita”, il suo atteggiamento avrebbe assunto una ben maggiore vis polemica!
Partendo dall’assunto che l’esperienza del “socialismo realizzato” si sia conclusa, spero non in via definitiva, col XX° congresso dell’URSS, mi si consenta poi una quota di disaccordo con le posizioni di chi nota nell’esperienza “socialista” una non minore indifferenza di quei governi verso le problematiche ambientali rispetto a quella dei governo degli stati capitalisti. Che i governi a cui quei critici si riferiscono (i governi kruschoviani dell’URSS e dell’Est europeo, e Cina e Vietnam odierni) avessero di socialista a malapena il colore della bandiera lo dimostra una infinità di eventi, di cui il più chiaro mi sembra quello che lo stesso personale politico che li dirigeva fino al 1988 divenne con l’ ‘89 la classe dirigente del feroce sistema capitalista appena instaurato.
La brevissima esperienza effettivamente socialista sovietica (’17 –’53) ebbe tali di quei problemi di sopravvivenza che appare addirittura miracoloso che siano stati posti alcuni grandiosi caposaldi di politica ambientalista, in un periodo in cui nel resto del mondo i temi di conservazione ambientale erano pressoché sconosciuti o, al più, visti come necessità di conservare alla fruizione della ricca classe intellettuale le bellezze naturali, fonte di ispirazione artistica e di ogni godimento estetico.
Subito dopo la Rivoluzione d’Ottobre, dopo il decreto sulla terra, Lenin diede incarico a Podiapolskij, dirigente del Commissariato del Popolo all’istruzione di Astrakan, di dar vita ad una riserva naturale nell’area del Volga, che sarà realizzata a partire dall’Aprile del ’19.
Nel Maggio 1920, con un decreto firmato da Lenin, venne creato nella regione di Miass il primo parco nazionale della Russia rivoluzionaria; successivamente un altro decreto di Lenin il 16 settembre 1921 assegnò al Commissariato all’Istruzione la competenza sull’istituzione di Parchi nazionali (zapovednik), in cui fossero rigorosamente vietate tutte le attività perturbatrici dell’ambiente, a cominciare da caccia e pesca. Lenin firmò 94 decreti riguardanti la difesa della natura, la “Legge fondamentale delle foreste”, “Sulla protezione degli animali del Mar Glaciale Artico e del Mar Baltico”, “Sulla protezione dei monumenti naturali, dei parchi e dei giardini”.
Già in un documento del Consiglio Centrale Panrusso dei Sindacati del ’19 si leggeva:” Per proteggere le fonti delle nostre risorse dobbiamo agire in accordo con le leggi scientifico-tecniche… trattando del rendimento delle nostre foreste dobbiamo stare attenti che l’industria forestale agisca correttamente. Trattando del petrolio dobbiamo attrezzarci per prevenire gli sprechi. E’ necessario insomma sforzarsi per applicare le leggi scientifiche e un criterio di sfruttamento razionale” (in D.R. Weiner, Models of Nature. Ecology,Conservation and Cultural Revolution in Soviet Russia, 1988, Indiana University Press).
Negli anni successivi la produzione socialista, articolata in piani quinquennali, poneva tra i suoi obbiettivi la lotta alla desertificazione e per la riforestazione; nel ’29 il primo congresso Panrusso per la Conservazione della natura intervenne sul rapporto uomo-natura in una società socialista: ”La natura ed il ritmo di crescita economica possono essere correttamente determinate solo dopo uno studio dettagliato dell’ambiente e una valutazione delle sue capacità produttive al fine della sua conservazione, sviluppo e arricchimento” (in T. Benton, The greening of Marxism, Guilford P., 1996).
Sotto la direzione di Stalin gli ecologi sovietici fornirono un contributo estremamente rilevante agli studi sull’ambiente. Vernadskij pubblicò nel ’26 i suoi scritti in cui veniva illustrato il moderno concetto di biosfera; Stanchininskij nei primi anni trenta propose una interpretazione innovativa dei sistemi ecologici fondata sui livelli trofici e sui flussi energetici come elemento di congiunzione tra esseri viventi e ambiente circostante, anticipando di dieci anni il modello dello statunitense Lindeman.
Nel ’31 venne fondata la prima rivista sovietica specializzata nello studio dell’ambiente, il ”Zhurnal ekologij i biotsenologij”, il cui direttore Kashkarov scrisse un fondamentale testo, “Ambiente e comunità” che fu poi tradotto in varie lingue e destinato a diventare un vero punto di riferimento negli studi di ecologia.
L’aggressione hitleriana bloccò il grandioso progetto di forestazione della steppa siberiana voluto con decisione da Stalin. I 25 milioni di morti dalla II° guerra seppellirono definitivamente il progetto.
Nei confronti del gruppo di economisti che si apprestavano a pubblicare “Problemi economici del socialismo”, e che tendevano a sopravvalutare le capacità produttive del sistema socialista Stalin nella “Conversazione del 15.02.’52” tiene a sottolineare che “non è possibile trasformare le leggi della natura e della società. Se fosse possibile trasformare una legge allora sarebbe possibile anche abolirla. Ciò significherebbe che per noi tutto è possibile!”.(Quaderni di Teoria e Prassi, n8)
Solo nove anni dopo, l’introduzione della categoria del profitto nel sistema socialista arrivava sulle pagine della Pravda e dilagava nell’intero mondo socialista che in verità la qualifica di “socialista” la meritava sempre meno. (v. Liberman … Piano e Profitto nell’ economia sovietica, E.R. 1965). Da quegli anni in poi la rincorsa all’aumento della produttività, definita esattamente come nell’ Occidente capitalista, spalancava la strada alla devastazione ambientale.
Nel numero monografico “Ecologie et marxisme” di Etudes Marxistes (51/2000), Didier Bette e Alexander Kempeneers tracciano un “Bilan ecologique des pays socialistes” che rimette nei loro giusti termini il problema dei danni “da socialismo” nei paesi dell’Est europeo confermando anche lì un lungo periodo iniziale di grande attenzione alle tematiche di tutela ambientale.
Vorrei aggiungere un mio parere sulle posizioni di Immler citate da Piero Bevilaqua in “Demetra e Clio”, ed in particolare sull’appunto (grave!) che viene mosso a Marx di “escludere la natura prima ancora che sorga il valore” (pag 128).
A me sembra che esistano due elementi che si contrappongono a tale osservazione: il primo, che Marx individua in modo esplicito quei beni naturali che “non hanno valore perché sovrabbondanti e disponibili ad libitum “, quali, nella sua epoca, aria e acqua -(oggi il discorso di aria e acqua, che abbiamo il compito di storicizzare, è del tutto diverso)- mentre degli altri beni naturali il valore corrisponde al “lavoro” necessario alla loro estrazione; il secondo, che da vero primo materialista conseguente dell’epoca moderna, Marx pone la natura materiale a postulato fondamentale di tutta la sua opera, e questa presenza immanente viene a galla in tutte le osservazioni che riguardano la natura e che sono adeguatamente citate da tutti i commentatori non malevoli. Le abbiamo ampiamente citate anche noi nello scritto sopra indicato. E nel carteggio con Engels l’interesse per la natura e per le sue leggi di entrambi i “padri” emerge ad ogni passo. Né gli esempi che ho citato sopra sulla attività pionieristica di conservazione ambientale in URSS possono far sorgere dubbi sulla eventuale dimenticanza da parte di Lenin , di Stalin e dei gruppi dirigenti sovietici, delle indicazioni dei “padri”sul modo rivoluzionario di approcciare il problema ambientale…
E’ strano d’altronde come gli stessi feroci critici ignorino nella maggior parte dei casi gli effetti ambientali devastanti degli eventi bellici made in Usa degli ultimi decenni, dai defoglianti in Vietnam, all’Uranio più o meno depleto dei Balcani (ricordiamo bene, con la complicità indegna di D’Alema & Company) all’enorme quantità di esplosivo di natura ignota, di pozzi petroliferi bruciati, ecc. ecc. ecc. in Iraq I, e in Iraq II (con la complicità indegna di Berlusconi & Company) fino ai proiettili all’Uranio usati da Israele in Libano nelle zone islamiche, in aggiunta a quelli Nato e segnatamente italiani nella guerra di Kossovo e Serbia di cui dicevamo prima. Di tali effetti nulla si sa né nulla si saprà mai trattandosi di segreti militari, e questo fatto aggrava ulteriormente le già catastrofiche conseguenze sia locali che globali delle innumerevoli guerre imperialiste.
Vorrei concludere con una ulteriore osservazione, da buon catastrofista quale ormai sono costretto ad essere. Il coro compatto di bravi e politically correct ambientalisti si sbraccia per la sostituzione delle fonti energetiche fossili con quelle rinnovabili (con la variabile Rubbiana della fusione nucleare, oggi, sembra, abbandonata).
Ci fosse uno che, presa carta, penna e calamaio, faccia due conti che considerino:
- che qualunque sia la fonte del combustibile, non può esistere una combustione che non abbia come effetto finale almeno la produzione di CO2.
- che, anche con cattura di energia in forma non combustibile (fotovoltaico, solare termico o termodinamico), il bilancio energetico terrestre viene egualmente squilibrato con l’accumulo di quantità di calore aggiuntive rispetto a quelle del naturale bilancio Sole à Terraà Nell’Aprile 2007 G.W.Bush (si, proprio lui) ha percorso l’America Latina come portavoce della nuova religione del metanolo da biomasse. Io spero che non siano molti a cadere in questa trappola e a comprendere che incrementare la cattura di energia solare rientri esattamente in questa categoria.
Non è quindi la particolare forma che assume l’energia quello che salverà l’umanità dal tracollo ma solo la cessazione, la più rapida possibile, della follia produttiva del sistema “liberale”. Follia produttiva che in realtà, come emerge da un’analisi economica non mercenaria, non ammette limitazioni o freni di sorta, a pena della sua scomparsa. Essa DEVE procedere come un treno impazzito (quello di Guccini) perché ciò è inscritto nelle sue “bronzee leggi”.
Non voglio dire con ciò che, automaticamente, la fine della produzione di plusvalore fermerà la crescita violenta dell’entropia, sotto forma chimica o sotto forma termica.
E’ però evidente che in un sistema di rigida centralizzazione della produzione dei beni (che siano, in una prima fase, ancora merci o meno è cosa che lascerei agli spaccatori di capelli) la componente scientifica, e cioè l’interesse generale, ha buone opportunità di prevalere.