Riportiamo un esempio di ipotesi di ricerca sull’ approvvigionamento alimentare compatibile con le condizioni di una corretta gestione della biosfera:
JONICOOP Soc. Coop.a r.l.
Via S. Maria Di Betlem, 18 c/o LEGA NAZIONALE COOPERATIVE E MUTUE
95131 CATANIA
PROGETTO DI RICERCA SUL TEMA:
PRODUZIONE DI BIOMASSA ITTICA IN ACQUE INTERNE A PARTIRE DAL RECUPERO DI RADIAZIONE SOLARE
(schema preliminare)
Come ampiamente illustrato nello studio che segue, appare di importanza fondamentale ai fini della soluzione del problema dell’approvvigionamento proteico di provenienza ittica, compatibile con la salvaguardia degli stock ittici oceanici, una sperimentazione in campo, nelle specifiche condizioni dell’Italia insulare, della catena:
-radiazione solare
-biomassa vegetale (microfite e macrofite) e zooplanctonica in acque interne
-biomassa ittica
con misurazioni quantitative dell’efficienza energetica dei processi in gioco nei casi di:
- a) autosufficienza assoluta
- b) parziale integrazione energetica.
Appare impellente il ricorso a fonti alimentari proteiche di origine ittica per la ormai conclamata incompatibilità della produzione carnea di massa con uno sviluppo organico della biosfera.
Ci riferiamo in primo luogo all’ allevamento dei bovini e dei suini che è risultato assolutamente alternativo alla sopravvivenza della biosfera.
ACQUACOLTURA IN ACQUE INTERNE
UNA SCELTA OBBLIGATA
Estratto
e’ ormai assodata l’impossibilità di estrarre massicce quantità di prodotto ittico dalle acque marine già al collasso per eccessivo sfruttamento sia di specie destinate al consumo diretto che di specie destinate alla trasformazione in mangimi per allevamenti. Si propone pertanto la radicale modifica delle prospettive di approvvigionamento ittico, basandolo sulla produzione, in stagni di acqua dolce o salmastra, di biomasse vegetali da destinare alla produzione ittica di specie prevalentemente fitofaghe o plantofaghe
da immettere poi o al consumo diretto o alla trasformazione in mangime per specie predatrici.
Abbiamo calcolato che 1 ettaro di stagno opportunamente gestito può produrre in semintensivo, (alla densità di 1 Kg/mc in stagni della profondità media di 1,5 m), con modesti apporti esterni, 15 t/anno di amur,tilapia, e/o altre specie da immettere al consumo diretto (5 t di sfilettato), più 10 t di scarto sufficienti per produrre ancora 2 t/anno di specie predatrici di pregio .
Osservazioni preliminari
Recenti stime internazionali (Dati FAO 2013….) denunciano il gravissimo attacco che le flotte pescherecce di tutto il mondo, giapponesi in testa, compiono ogni giorno contro l’assetto biologico degli oceani, riducendo gli stock ittici, per alcune specie (es. tonno rosso) già al di sotto dei valori minimi di sopravvivenza, per altre su valori limite.
D’altronde tale comportamento si inserisce perfettamente all’interno del più generale attacco da parte della speculazione globale alle condizioni biotiche del pianeta (calore emesso, gas serra, deforestazione, effluenti tossici, ecc. ecc).
L’attacco oceanico, compiuto nell’ambito di una dissennata corsa al profitto, da flotte pescherecce multinazionali sempre più sovradimensionate, con investimenti di capitali inimmaginabili fino a pochi anni addietro, colpisce ormai indiscriminatamente tutte le specie, incluse quelle di scarso o nullo interesse alimentare diretto.
Infatti è ben noto che a seguito della rarefazione crescente del pescato in tutti i mari, l’attività di acquacoltura di specie pregiate si è sviluppata a ritmi vertiginosi sino a coprire oggi nei paesi più sviluppati il 60% del consumo di prodotti ittici. Tale esponenziale sviluppo ha sconvolto quello che era il principio fondamentale dell’acquacoltura marina: l’uso, come componente essenziale dei mangimi, degli scarti della pesca trasformati in farine e quindi recuperati a fini alimentari. Di fronte ai numeri che abbiamo fornito, le quantità di scarti non sono state più sufficienti, talchè si è creato un mercato di biomasse ittiche da trasformare in mangimi. Sono state così avviate ai mangimifici quantitativi via via crescenti di pesci, molluschi e crostacei sottratti ai rispettivi cicli biologici e quindi alla catena alimentare.
Dai fatti esposti appare quindi assolutamente indispensabile ripensare ad un approvvigionamento proteico che escluda le acque oceaniche dal ciclo alimentare umano, o almeno che lo riduca in misura massiccia, e per moltissimi anni.
L’unica soluzione considerata praticabile è quella dell’incremento delle colture ittiche in acque dolci o salmastre a partire da specie onnivore prevalentemente fitofaghe, che ripercorrano quindi una catena alimentare basata sulla fissazione fotosintetica dell’ energia solare al di fuori del ciclo degli oceani.
Naturalmente anche nelle acque marine si sviluppa un percorso analogo, ma di fronte al sostanziale esaurirsi delle risorse mondiali, ci troviamo di fronte alla necessità assoluta di
riprendere in condizioni diverse (le acque interne appunto), un percorso scientificamente pianificato a livello internazionale che possa fornire, con ridotto impatto ambientale, le necessarie quantità di biomassa proteica alimentare di buona qualità sotto i vari profili.
Una prima linea di intervento è la piscicoltura estensiva o semintensiva in acque dolci in cui la catena alimentare nasce dal fitoplancton e dalle macrofite palustri, si diversifica via via fino a specie onnivore (es. Carpa, Tinca, ecc.), e successivamente a specie predatorie (Lucci, Persici, ecc.).
Tale approccio trova i suoi limiti nella scarsa produttività per ettaro dei bacini utili, e nella qualità non sempre apprezzata del prodotto fornito.
Si aprono allora due possibili vie: la prima quella della produzione di specie onnivore apprezzabili dal mercato, amur in primo luogo, poi tilapia (con le limitazioni relative alla temperatura invernale), carpa, , persico sole, ed altre specie marginali di trascurabile valore di mercato, tutte specie dalla crescita rapida in stagni con prevalente produzione autotrofa di biomassa vegetale; la eventuale seconda successiva via, quella della produzione di specie predatrici, marine o meno, molto più apprezzate, da alimentare tramite la produzione marginale di cui prima di specie ittiche o scarti di valore di mercato scarso o nullo, da somministrare tal quali oppure sfarinate e opportunamente miscelate con carboidrati.
Alcuni dati:
Dati empirici del tutto plausibili forniscono nelle regioni mediterranee una energia solare media annua di 1500 – 1850 Kw.h / mq.anno. Nel meccanismo di trasformazione fotosintetica dell’energia solare una percentuale dell’1% circa si trasforma in composti cellulari ed il restante 99% si disperde come crescita dell’ entropia. Questo 1% si trasmette nella intera rete trofica con efficienza decrescente, ma con qualità crescente. (Questo concetto di crescita qualitativa dell’energia si comprende se guardiamo a questi processi nella scala dei tempi dell’evoluzione delle specie. È sorprendente osservare come questa piccola scintilla di luce solare arrivi a generare la sua forma di più elevata qualità, che è il pensiero).
La quantità di energia solare catturata dalla fotosintesi è dell’ordine dei 100 (133, Moore) terawatt. Oltre che dell’energia, la fotosintesi è anche la fonte di carbonio dei composti organici degli organismi viventi. La fotosintesi trasforma circa 115 × 109 chilogrammi di carbonio atmosferico in biomassa ogni anno corrispondente ad un valore medio di circa 1 Kg/mq.
- In un ambiente acquatico a basso fondale quale uno stagno e le sue rive tale energia è disponibile per la trasformazione in biomassa vegetale tramite fotosintesi e successivamente in biomassa ittica.
- Più in dettaglio, i dati riscontrati sulle produzioni vegetali in condizioni simili a quelle delle regioni mediterranee forniscono per specie quali Thipha, Arundo, Phragmites,
Miscantus, biomasse valutabili tra le 60 e le 120 t/ha.anno, con un valore medio di 90 t/ha/anno, in accordo con i dati surriportati sulla disponibilità di energia da fotosintesi
- Inoltre impianti sperimentali costieri a Lamezia Terme hanno portato addirittura alla produzione di ben 90 t /ha di microalghe essiccate (circa 700 t/anno di prodotto fresco), con bassissimi costi di impianto ed esercizio, utilizzando così l’acqua marina senza minimamente influenzarne la relativa catena alimentare (Wagener, Florenzano, atti della conf. internaz. su energia da biomasse, 1982).
Si ha in tal modo una conversione diretta di energia radiante in biomassa da porre alla base di una catena alimentare che avrà al vertice il prodotto ittico a scopo alimentare. Naturalmente si tratta ancora di attività da verificare e approfondire sul piano della reale disponibilità operativa (Tredici, atti accad.Georgofili 30.11.2006), ma la direzione della ricerca appare certamente promettente.
- Considerando una policoltura in stagno di specie ittiche quali amur, carpe, carassi, ictalurus, tilapia……… avente a base la produzione di biomasse quali le macrofite sopra citate, più tutta la produzione algale, si può stimare in 15 t/anno per ogni ettaro la produzione ittica da avviare in parte al consumo umano diretto, o al consumo come mangime fresco in allevamenti ittici di specie più pregiate, o ancora alla preparazione di farine di pesce. Sostanzialmente tali impianti sono da annoverarsi come acquacolture semintensive, con una densità di 1Kg/mc ed una profondità media di i,5 m. Attorno al bacino deve essere considerata una fascia di terreno umido estesa di circa il 30% dello specchio acqueo per permettere la crescita ottimale di specie vegetali riparie da convogliare periodicamente nello stagno. L’uso di alimentazione esterna suppletiva, da realizzare con mangimi a bassissimo costo, quali sfarinati vari di scarto, paglia triturata, ecc., in aggiunta ad una opportuna ossigenazione, può triplicare o quadruplicare le rese/ha.
- La scelta della policoltura appare opportuna per il recupero di ogni nicchia trofica dell’ ambiente-stagno.
- A parte l’Amur che si nutre prevalentemente di macrofite, ma che difficilmente si riproduce nei nostri climi,le altre specie si pongono all’ interno di una catena nella quale la biomassa algale fornisce tutta la necessaria scorta di acidi grassi essenziali.
- Una policoltura quale quella ipotizzata è compatibile con la tutela ambientale di zone umide costiere. Inoltre molte aree interne pianeggianti purché prossime a corsi d’acqua possono essere riconvertite in tal senso con redditività per ettaro molto superiore a quella tradizionale.
- Le operazioni colturali necessarie in uno stagno sono sostanzialmente limitate alla sommersione periodica della parte aerea della vegetazione per metterla a disposizione delle specie fitofaghe. In sostanza necessita un cingolato di media potenza da impiegare per circa 20 – 30 giornate /anno.ha.La stessa macchina fornirà la potenza necessaria per il prelievo periodico, tramite reti, del prodotto
- Valori di riferimento: In Italia sono censiti 000 ha di stagni e lagune, solo in Sardegna si riscontra la presenza di 12.000 ettari. Ufficialmente l’ Italia annovera circa 7 milioni di ha di pianure. Le aree pianeggianti prossime a corsi d’acqua sono difficilmente quantificabili ma certamente dell’ordine di grandezza di molte migliaia di ettari.
- Ove anche solo il 2% di tali terreni pianeggianti siano allagabili, avremmo 140.000 ha di potenziali stagni utilizzabili, con una produzione ittica stimabile in 1.400.000 t/anno. (produzione annua in Italia:attorno alle 500.000 t, importata 1.000.000 t– dati ISMEA)
- Valutando in media in 1 €/Kg il valore MEDIO di mercato di tale prodotto ittico, la resa netta per ettaro di uno stagno in policoltura si attesterebbe da € 15.000, fino a 30.000 e oltre nel caso di alimentazione suppletiva, quindi ben superiore rispetto a colture agricole tradizionali.
- Nei dettagli: 10 ha di stagno possono produrre in semintensivo, come visto sopra, 150 t di prodotto ittico di basso pregio, che però, una volta sfilettato, corrisponderà a 50 t di filetti (medio pregio) ed a 100 t di scarti da usare come mangimi per specie predatrici con di convers. 5:1. Se ne otterranno quindi 20 t di predatori di pregio.
Parliamo di una densità ittica di 1Kg/mc, che rientra comunque nel semintensivo.
La farina e l’olio di pesce prodotti possono essere utilizzate in azienda per la produzione di specie dulciacquicole pregiate, a mare per la produzione di specie marine, o semplicemente immesse sul mercato tal quali (oggi prezzo medio 2.00 €/Kg), o ancora, addizionate a componenti vegetali a basso costo, possono sostenere un mangimificio annesso all’azienda.
Fabbisogno
Terreno pianeggiante argilloso con adeguata disponibilità idrica ha 5
Formazione argini – movimentazione terra mc 50.000
Riempimento idrico mc 50.000
Rabbocco annuale mc 50.000
Avannotti prima semina varie specie n 500.000
Prefabbicato attrezzature e servizi mq 50
Pompe, sonde multiparametriche, attrezzature informatiche e di lab. Da valutare
Piccola pala cingolata Da valutare
- 1 dirigente biologo, n.2 addetti 5 anni
Procedure sperimentali
- La superficie sarà suddivisa in 20 canali (raceways) da circa 2000mq cad con una profondità di 1,5 m nei quali saranno sperimentate le condizioni di crescita delle varie specie sia in policoltura che in coltura singola, sia in condizioni di totale naturalità che in condizioni di integrazione energetica (ossigenazione e/o filtrazione) ed alimentare (scarti vegetali).
- Prove di riscaldamento invernale delle acque
- La sperimentazione si concluderà con una serie di valutazioni quali/quantitative sul prodotto finale, da commissionare a centri di ricerca qualificati.
Obbiettivi
Valutare, nell’arco temporale dei 5 anni, la resa effettiva unitaria degli stagni e la qualità del prodotto nelle varie condizioni sperimentali descritte.